Ricomincia una nuova settimana e la vera novità è rappresentata dal fatto che negli Stati Uniti, non si è arrivati ancora ad una conclusione positiva relativa al pagamento degli stipendi della Pubblica Amministrazione, a causa del voto contrario dei democratici, che pretendono contropartite dal Governo, in particolar modo legate al diritto di cittadinanza per i figli dei migranti nati negli Stati Uniti. Una questione che ha provocato l’apertura in gap dei principali mercati questa notte, anche se poi la reazione è stata immediata e si è tornati velocemente ai prezzi di chiusura di venerdì sera. Di fatto l’accordo prima o poi verrà trovato, questo sembra pacifico, e non è neppure la prima volta che accade, dato che sotto la Presidenza Obama era giù successo uno shutdown temporaneo.
Certamente è vero che negli Stati Uniti vi sia una certa tensione latente, alimentata contro Trump per il fatto che è un Presidente apparentemente anomalo, almeno di facciata, perché non è legato ai vecchi schemi nel presentarsi e spesso è autore anche di qualche evidente gaffe, ma la riforma fiscale presentata ha cominciato a produrre degli effetti rilevanti visto che Apple, e non una azienda qualunque, ha deciso di sfruttare i vantaggi dello scudo fiscale che permette il rimpatrio dei capitali detenuti all’estero ad una aliquota del 14.5% contro il 35% precedente.
In buona sostanza la Apple ha deciso di creare un nuovo campus in America con la creazione di 20 mila nuovi posti di lavoro e un contributo all’economia di circa 350 miliardi di dollari in 5 anni per i prossimi anni, quasi 70 miliardi di dollari. Quasi lo 0.5% del Pil. E pagherà 38 miliardi di tasse.
Certamente molti storceranno il naso ma l’obiettivo di riportare in patria le aziende e multinazionali Usa che creavano sedi in posti fiscalmente vantaggiosi, sta producendo i primi risultati.
Detto questo, dobbiamo segnalare che contemporaneamente l’amministrazione Usa sta riuscendo ad indebolire il dollaro, che come abbiamo detto spesso, con i repubblicani al Governo tradizionalmente scende, alimentando quindi la competitività verso l’estero, anche se molti ritengono che nell’anno in corso, i rialzi dei tassi, ad oggi tre, prospettati dalla Fed, non saranno tali perché l’economia entrerà nella fase matura del ciclo economico che sarà il preludio di una nuova recessione. Questo è il vero tema dell’anno in corso, cari amici, e sarà interessante osservare la reazione della Bce e delle autorità monetarie dei paesi e delle aree, che ancora, non hanno raggiunto lo stesso stadio del ciclo economico essendo ancora, molto probabilmente, indietro in termini di crescita e ripresa sostenuta.
A giudicare dalla reazione dei mercati, ad oggi, ai concorrenti americani non sembra infastidire più di tanto la rivalutazione progressiva delle valute in oggetto, ma dobbiamo comprendere fino a quando sarà possibile questo indebolimento sino al punto da infastidire le aree concorrenti. All’interno della Bce, pare chiaro non esserci unanimità di pensiero relativamente a questo tema, in quanto già diverse opinioni, spesso contrastanti, sono emerse tra i vari banchieri centrali, tra chi ritiene che l’Euro sia tranquillamente all’interno del suo range storico e chi invece sostiene che la salita sia troppo rapida e pericolosamente dannosa per le economie del vecchio continente, tutti tranne la Germania, che come spesso abbiamo sostenuto anche in queste pagine, sfrutta proprio l’inefficienza valutaria dettata dal cambio fisso all’interno dell’Unione.
Al di là delle opinioni personali, si deve ricordare che l’Europa sta correndo comunque ad un buon ritmo, trainata dal gigante tedesco e pure il nostro paese, ne ha, anche se solo in parte, beneficiato, evidenziando un miglioramento della congiuntura. Ma la domanda ora è la seguente: nel caso di una nuova recessione negli Stati Uniti, e conseguente discesa possibile dei mercati azionari, cosa succederà al nostro paese e allo spread? Ad ognuno la possibile risposta, certo è che il timore che il paese non riesca a reagire ad una discesa dei mercati, e possa tornare sotto attacco, esiste e non si deve sottovalutare.
Tornando al mercato valutario, che è di nostro principale interesse, notiamo una tenuta del Dollar Index sopra 90.00 e questo è un segnale, anche se deve essere dimostrato attraverso la rottura delle prime resistenze chiave, poste in area 90.60 65 area, altrimenti prima o poi si scende ancora.
L’Euro tiene egregiamente sopra 1.2200 anche se per ora non è riuscito a rompere l’area di 1.2295 1.2320 viste la settimana scorsa. UsdJpy che pare tenere 110.30 40 e deve dare segnali di forza sopra 111.30 40, mentre AudUsd e NzdUsd ancora consolidano senza dare segnali di debolezza. Attenzione però perché spazio di correzione per il dollaro c’è e sembrano anche aumentare le probabilità che ciò avvenga.
La giornata di oggi non sembra così interessante sotto il profilo dei dati macro, ma la settimana è lunga e i dati in via di pubblicazione molti, quindi armiamoci di pazienza e aspettiamo l’aumento della volatilità.
Da un punto di vista tecnico vogliamo osservare oggi l’andamento del UsdCad, all’interno di un trading range e fase di consolidamento molto importante, legata a due eventi che potrebbero modificarne gli equilibri in un senso e nell’altro. Da un lato il probabile e continuo rialzo dei tassi in Canada dopo che gli ultimi dati hanno evidenziato un miglioramento evidente della congiuntura, alimentata dalla forza delle materie prime. Dall’altro invece, il pericolo dettato dalle possibili decisioni dell’amministrazione Usa relativamente al trattato Nafta, che potrebbe essere cancellato per lasciare il posto ad un trattato più favorevole agli Stati Uniti. I livelli da osservare sono a 1.2350 sotto e 1.2600 50 sopra, le cui rotture aprirebbero la strada a movimenti repentini verso 1.2000 al ribasso oppure 1.2900 50 al rialzo. Cambio quindi da osservare con estrema attenzione, assai legato alle questioni macro.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
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