E così, anche il mese di settembre è trascorso tutto sommato all’insegna della stabilità, anche se nell’ultima decade del mese, bisogna riconoscerlo, c’è stata una impennata della volatilità, legata a più fattori che andremo qui di seguito ad analizzare. Ma non è detto che questi movimenti siano il preludio ad un ulteriore aumento della paura degli investitori, che comunque sono al corrente della capacità delle banche centrali di mantenere il controllo dei rendimenti dei titoli di Stato e contemporaneamente capaci di mettere in sicurezza gli stessi mercati con semplici dichiarazioni.
Ad oggi, si può anche dissentire sulla strategia nel lungo termine, ma non si può negare il fatto che le autorità monetarie siano state in grado di infondere fiducia quando necessario, pur mantenendo un occhio alla necessità di chiudere, almeno parzialmente, i rubinetti della liquidità, che fino ad ora è servita alla strutturale ripresa post covid. La regia, ovviamente, è sempre della Federal Reserve che comanda i giochi e che ha preannunciato, con largo anticipo, almeno due trimestri, il tapering, facendolo di fatto digerire al mercato in modo soft tanto che, osservando i rendimenti dei titoli di Stato, il livello dei mercati azionari, e la forza del biglietto verde, possiamo tranquillamente dire che i livelli attuali sono ancora abbondantemente dentro il trading range degli ultimi mesi e per il momento i timori di crolli sono stati scongiurati. Ma ora viene il bello, nel senso che prima o poi, anche i big player, che nelle ultime settimane sembravano confusi e incerti sulla direzione da prendere, dovranno sbilanciarsi.
Ma quale sarà la direzione che prenderanno i mercati? Siamo in grado, attraverso l’osservazione delle price action, l’analisi macro e quella tecnica, di capire quale sarà, probabilisticamente parlando, il prossimo movimento significativo? Cerchiamo a tal proposito di mettere sul tavolo tutte le variabili che in questo momento rappresentano i veri market mover.
Per primo dobbiamo osservare i due dati più importanti, ovvero inflazione da una parte e occupazione dell’altra. Prendiamo come punto di riferimento gli Usa, per poi, a ricaduta, verificare la congruenza con i dati principali di altre aree, Giappone, Eurozona nelle sue diverse componenti, Gran Bretagna, Oceania e Canada. Negli Usa ci troviamo di fronte ad un’inflazione leggermente in calo rispetto al recente passato (secondo trimestre 2021), ovvero dal 6.4 al 5.3 per cento, mentre in Eurozona siamo intorno al 3.4%, ma come media, che comprende il 4% tedesco al 2.1 e 2.5% di paesi come Francia e Italia. In Giappone l’inflazione tornata negativa a -0.4% tanto che la Boj sembrerebbe voler insistere con il Qe (quantitative and qualitative easing). In Uk l’inflazione è al 3.2% mentre in Oceania Australia a 3.8% e Nuova Zelanda al 3.3%. Canada invece intorno al 4.1%. Questi dati sono ancora in aumento, soprattutto in ragione del rialzo dei prezzi delle materie prime, che ancora non accennano a storni strutturali, ma semplicemente consolidano su alti livelli, come il prezzo del petrolio. Tra i paesi emergenti segnaliamo l’inflazione al 5.3% dell’India, 9.6% del Brasile +5.6% del Messico e del 19.25% della Turchia. Da questo punto di vista, quindi, e visto il trend tendenziale che ancora non accenna a rallentare, nonostante il peggioramento della congiuntura dovuto alla variante delta della pandemia, sembra necessaria una forma più o meno marcata, a seconda dei diversi paesi, di rallentamento dei Qe, siano essi espressi sotto forma di diminuzione degli acquisti di titoli, siano invece rivolti ad un rialzo del costo del denaro, anche se quest’ultimo probabilmente appare logico che avvenga solamente dopo aver terminato gli acquisti di titoli sui mercati da parte delle autorità monetarie.
La seconda variabile che va osservata è rappresentata dall’occupazione che invece sembra non avere il medesimo andamento strutturale che si osserva sull’inflazione, nel senso che rimane tendenzialmente indietro rispetto all’aumento dei prezzi e fatica a evidenziare la ripresa che si osserva invece sui prezzi. Ciò a nostro avviso, insieme alla crescita del Pil e degli aggregati macro più rilevanti (produzione industriale, manifatturiera, export) rappresenta il vero rischio che dovranno affrontare a breve i responsabili di politica monetaria, perché non dovessero riuscire a provocare un deciso miglioramento dell’occupazione e del Pil, si troverebbero di fronte al rischio stagflazione da cui, nella condizioni di debito pubblico globale attuale, sarebbe estremamente difficile uscirne. Questa, crediamo, sia anche la principale ragione della prudenza e attenzione che la Fed adotta quando evita di parlare apertamente di rialzo del costo del denaro, affermando che nonostante il tapering si renda necessario, la politica resterà ampiamente accomodante per tutto il 2022.
Venendo all’analisi grafica, cioè tecnica, quel che possiamo dire è che nelle ultime due settimane il dollaro sta salendo strutturalmente contro tutte le principali valute anche se nel medio termine il trend di fondo è ancora dollar bearish. Ma i prossimi giorni potrebbero essere cruciali, al riguardo. La vera incognita, a nostro avviso è la paura dei mercati, che potremmo osservare analizzando lo Jpy, che rappresenta il vero ago della bilancia. Da un punto di vista meramente tecnico, lo Jpy potrebbe indebolirsi nel medio termine, ma anche da un punto di vista macro, la Boj potrebbe avere la necessità di una valuta più debole per provare a creare un’inflazione inesistente. Ma se la paura dovesse colpire gli investitori, lo Jpy rischierebbe di salire in modo impulsivo come asset rifugio. E questo è indipendente dal movimento di tutte le altre coppie valutarie in cui non è presente la divisa giapponese. Ecco che quindi rischia di venire a crearsi un mercato dollarocentrico per tutte le valute e una correlazione specifica sullo Jpy che potrebbe andare in controtendenza al mercato dollarocentrico. L’importante è comprenderlo e agire di conseguenza.
Questa è la settimana dei payrolls, dato cruciale quindi sotto molti punti di vista. Anche se ogni volta che aspettiamo la volatilità su una dichiarazione o decisione di banca centrale poi il mercato si è dimostrato sempre in equilibrio. Vedremo se da qui a fine anno qualcosa cambierà.
Buona giornata e buon trading.
Saverio Berlinzani per ActivTrades.
Profilo dell’analista
Saverio Berlinzani
Nel 1989 inizia il suo percorso lavorativo nel mercato valutario come spot trader per il Banco Lariano. Dal ’91 per la Banque San Paolo di Parigi come trader su lira e franco francese. Dal ‘92 presso il Banco Lariano di Milano spot trader su tutte le valute SME. Dal ’95 per Swiss Bank Corporation capo cambista – Lugano, Ginevra, Londra.
In questi anni, oltre alla specializzazione sul mercato dello spot come market maker, ha sviluppato conoscenze del mercato dei derivati come trader di posizionamento per l’Istituto (Opzioni vanilla ed esotiche), nonché conoscenza diretta delle valute legate ai paesi emergenti (carry trades).
Dal ’98 è rientrato in Italia come Libero professionista in qualità di Consulente Finanziario e Patrimoniale – Presidente e socio fondatore di una società broker in forex. Dal 2009 ad oggi, trader indipendente nel mercato valutario fondatore del sito www.saveforex.it, community di traders con cui condivide quotidianamente in tempo reale la sua operatività forex attraverso una chat e un webinar live.
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