La Banca Centrale Europea (Bce) rimane divisa tra il desiderio di contrastare l’inflazione e la gestione del rallentamento dell’economia, correndo il rischio di essere tacciata di “dominanza fiscale”, ovvero di una politica monetaria condizionata dal finanziamento della spesa di bilancio.
Sebbene questo equilibrio stia diventando sempre più difficile, la BCE continuerà a favorire la rapida attuazione di una politica monetaria restrittiva fino a quando continuerà il forte shock inflazionistico che ha colpito l’area dell’euro a partire dal novembre 2020. Tanto più che la risposta politica allo shock “stagflazionistico” indotto dalla crisi del gas si basa in gran parte su misure fiscali a sostegno di famiglie e imprese, piuttosto che sull’austerità fiscale.
Pertanto, per il penultimo meeting del 2022, ci aspettiamo che Christine Lagarde mantenga un approccio hawkish.
I tassi di interesse rimangono il principale strumento di politica monetaria
Per il meeting del 27 ottobre sembra essere scontato un aumento dei tassi di 75 punti base ed è molto probabile che esso sia seguito da un ulteriore rialzo di 75 punti base in occasione dell’incontro del 15 dicembre.
L’obiettivo è quello di portare i tassi di interesse al tasso neutro (stimato) del 2% il prima possibile e quindi di portare la politica monetaria in territorio restrittivo, al fine di frenare l’aumento dei prezzi. Infatti, pur ritenendo che il picco dell’inflazione sia vicino, si prevede ancora una media di circa il 10% nel quarto trimestre di quest’anno.
La Bce dovrà gestire un bilancio imponente
In occasione del meeting di giovedì, l’interrogativo principale riguarda il modo in cui la Bce gestirà gli 8.700 miliardi di euro che costituiscono il suo bilancio. Considerando che le altre principali banche centrali hanno iniziato a vendere obbligazioni e che la forward guidance della Bce prevedeva che si sarebbe discusso del bilancio dopo il primo rialzo dei tassi (avvenuto quattro mesi fa), a rigor di logica la BCcedovrebbe ora trovarsi di fronte al primo quantitative tightening della sua storia.
Tuttavia, data la violenza dei recenti movimenti nei mercati dei tassi d’interesse e il loro scollamento dai fondamentali economici (come l’aumento dei tassi a lungo termine mentre le prospettive economiche si stanno deteriorando, i timori di scosse di assestamento legate ai rischi posti dai fondi pensione alla stabilità finanziaria o il forte deterioramento della liquidità nei mercati del debito sovrano europeo), l’utilizzo di tale strumento di politica monetaria potrebbe essere più problematico che vantaggioso, e dovrà quindi essere accuratamente predisposto.
Non si può escludere che la riduzione del programma di acquisto di attività venga combinata, se necessario, con un altro programma volto a garantire la migliore trasmissione monetaria possibile (ossia il “TPI”). È meno probabile che l’uso di tale strumento venga interpretato come un’improvvisa inversione di tendenza o come un rischio di dominanza fiscale, come è avvenuto nel Regno Unito, dato che questo strumento fa già parte dell’arsenale monetario della Bce. Quando avverrà, l’attuazione del quantitative tightening solleverà la questione fondamentale di quali attività saranno vendute per prime e con quale ritmo. Data la diversificazione degli acquisti effettuati, la varietà delle realtà economiche nei diversi Paesi dell’Eurozona e il rischio di frammentazione europea, questo aspetto è senza dubbio motivo di dibattito per i membri del Consiglio direttivo.
Anche se la stretta quantitativa non dovrebbe iniziare prima della prima metà del 2023, la riunione di questa settimana potrebbe fornire alcuni chiarimenti sulle modalità di attuazione.
Infine, l’altra questione da affrontare è la liquidità delle banche. Che ne sarà dei prestiti a lungo termine concessi alle banche (le TLTRO)? Ammontando a un totale di quasi 2.000 miliardi di euro, esse rappresentano una voce significativa del bilancio della Bce e sarà difficile giustificarne il mantenimento in un contesto di politica monetaria restrittiva e di profitti record per il settore bancario. Ma anche in questo caso, la revoca di queste condizioni di prestito a basso costo potrebbe sollevare una serie di rischi: legali se le condizioni contrattuali vengono modificate, di credibilità, se la BCE non mantiene le sue promesse, e tecnici, a causa della riallocazione degli istituti bancari che ne deriverebbe.
La Bce si trova ad affrontare una situazione complessa e incerta, per cui non esiste una soluzione semplice. Come ha dimostrato il Regno Unito, la percezione esterna di possibili passi falsi – dovuti alla politica fiscale o monetaria – porterà a dure reazioni da parte del mercato. Christine Lagarde e gli altri membri del Consiglio direttivo vorranno evitare un simile scenario.
Commento a cura di Kevin Thozet, membro dell’Investment Committee di Carmignac