Il 2022 è stato un anno difficile per gli investitori, ma c’era una chiara narrativa dominante: l’inflazione era troppo alta e la Federal Reserve (Fed) ha dovuto reagire con una stretta monetaria aggressiva, che ha penalizzato azioni e obbligazioni e ha sostenuto il dollaro.
Finora il 2023 è stato un anno decisamente migliore in termini di rendimenti finanziari e l’S&P 500 ha guadagnato il 7% da inizio anno, ma la narrativa del mercato continua a cambiare. Dato che le decisioni di politica monetaria sono dipendenti dai dati, è probabile che nel resto dell’anno il mercato continui a spostarsi da una narrativa all’altra. Per questo motivo, nei prossimi mesi sarà difficile per gli investitori sapere come muoversi.
Le turbolenze del settore bancario sono diminuite, ma le condizioni di finanziamento si stanno inasprendo e rischiano di danneggiare la crescita. Le autorità americane ed europee hanno agito velocemente per alleviare le difficoltà delle banche, scongiurando una potenziale crisi sistemica. Di conseguenza, i deflussi di depositi sono rallentati, l’utilizzo delle linee di liquidità fornite dalla Fed si è ridotto e gli indicatori delle tensioni sui mercati dei finanziamenti sono rimasti contenuti.
Il continuo inasprimento delle condizioni di credito potrebbe però pesare sulla crescita a medio termine. Secondo l’indagine condotta dalla Fed di Dallas tra il 21 e il 27 marzo, i finanziamenti commerciali e industriali, i mutui e i volumi dei prestiti sono calati, mentre i criteri di concessione del credito hanno continuato a deteriorarsi. A nostro avviso, questi sviluppi non tracciano un quadro favorevole per la crescita nel resto dell’anno.
Il recente raffreddamento del mercato del lavoro statunitense può essere interpretato in modo sia positivo che negativo. I dati pubblicati venerdì negli Stati Uniti per il mese di marzo hanno mostrato un aumento dell’occupazione non agricola di 236 mila unità, il più modesto da dicembre 2020. A marzo le retribuzioni medie orarie sono salite dello 0,3% su base mensile, da +0,2% a febbraio, e del 4,2% su base annuale, la variazione a 12 mesi più modesta da giugno 2021. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro statunitense ha toccato il 62,6%, segnando il quarto incremento consecutivo su base mensile e il livello più alto da fine pandemia. I dati di venerdì sono coerenti con l’indice JOLTS di febbraio, diffuso all’inizio della scorsa settimana: le offerte di impiego negli Stati Uniti sono scese a 9,9 milioni, il livello più basso da maggio 2021, e il numero di offerte di lavoro per disoccupato è diminuito a 1,67, da quasi 2.
L’interpretazione più ottimistica è che la tensione del mercato del lavoro si stia allentando grazie al maggiore equilibrio tra offerte e domande di impiego, mentre secondo i più pessimisti si tratta dei primi segnali di un deterioramento che si aggraverà nei prossimi mesi.
A fronte del rallentamento dell’inflazione, la crescita potrebbe diventare la maggiore preoccupazione, presunta o reale. L’indice dei prezzi al consumo (IPC) statunitense, in uscita mercoledì, dovrebbe aiutare a capire se l’inflazione è ancora persistente. Secondo il consenso, l’IPC generale di marzo è atteso in calo al 5,1% su base annuale, dal 6% di febbraio, e grazie agli effetti base favorevoli potrebbe scendere al 3% entro l’estate.
L’attenzione della Fed, nonché dei mercati, rimane concentrata sull’inflazione «core», che a febbraio è rimasta ostinatamente elevata a quota 5,5%; ma la prospettiva di una possibile decelerazione dell’IPC generale al 3% potrebbe rafforzare la convinzione che sarà la crescita, e non l’inflazione, a guidare le decisioni della banca centrale e le performance dei mercati.
Non è mai facile orientarsi sui mercati quando la narrativa continua a cambiare, ma in questo caso le obbligazioni scontano prospettive più pessimistiche rispetto alle azioni, che sembrano aspettarsi un’evoluzione più favorevole. Questa differenza è uno degli elementi principali alla base della nostra preferenza per le obbligazioni di alta qualità rispetto alle azioni. A nostro avviso le azioni non scontano ancora la riduzione degli utili aziendali che dovrebbe verificarsi di pari passo con la svolta della Fed nel corso di quest’anno.
Le azioni sono tra le nostre posizioni meno preferite e raccomandiamo di diversificare rispetto ai titoli statunitensi e growth. Le obbligazioni restano la nostra asset class preferita su scala globale e preferiamo i titoli con rating elevato o titoli di Stato, investment grade e sostenibili rispetto all’high yield. Siamo positivi anche sulle obbligazioni dei mercati emergenti.
Al centro dell’attenzione
I dati statunitensi puntano a un raffreddamento dell’economia
L’economia americana ha mostrato una buona tenuta durante il ciclo d’inasprimento monetario più rapido operato dalla Federal Reserve (Fed) negli ultimi 40 anni. Ma i dati pubblicati la scorsa settimana indicano un raffreddamento, man mano che si fanno sentire gli effetti dei rialzi dei tassi.
Il rapporto di marzo sul mercato del lavoro ha mostrato l’aumento dell’occupazione non agricola (+236 mila unità) più contenuto da dicembre 2020. Le retribuzioni medie orarie sono salite solo dello 0,3% su base mensile e del 4,2% su base annuale, la variazione a 12 mesi più modesta da giugno 2021. Il tasso di disoccupazione si è ridotto leggermente al 3,5%. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro statunitense ha toccato il 62,6%, segnando il quarto incremento consecutivo su base mensile e il livello più alto del dopo-pandemia. All’inizio della scorsa settimana l’indice JOLTS di febbraio ha mostrato un calo delle offerte di impiego a 9,9 milioni dai 10,6 milioni di gennaio e circa 2 milioni al di sotto del picco di marzo 2022.
Anche l’indice dei responsabili degli acquisti (PMI) del settore dei servizi dell’Institute for Supply Management (ISM) è stato inferiore alle attese a marzo, toccando quota 51,2 da 55,2 a febbraio. Il PMI del settore manifatturiero si è mantenuto in territorio di contrazione (sotto 50 punti) per il quinto mese consecutivo, scendendo al livello più basso da maggio 2020 a quota 46,3. La componente dei prezzi pagati di entrambi gli indici segnala un allentamento delle pressioni inflazionistiche.
Con la progressiva decelerazione dell’economia americana, consigliamo agli investitori di prepararsi a un picco dei tassi d’interesse cogliendo le opportunità disponibili sul mercato obbligazionario.
Conclusione: le emissioni di alta qualità ci sembrano offrire opportunità d’investimento, grazie ai rendimenti discreti e al potenziale di produrre plusvalenze in presenza di un rallentamento economico. Preferiamo le obbligazioni con alto rating (titoli di Stato) e investment grade nonché i bond sostenibili. Puntiamo anche sulle obbligazioni dei mercati emergenti, a fronte del miglioramento delle prospettive di crescita e dell’indebolimento del dollaro.
I timori per la crescita fanno brillare l’oro
L’oro ha registrato un’ottima performance da inizio anno, guadagnando il 10% a fronte dei timori per la crescita economica e la stabilità finanziaria.
Nelle ultime settimane il prezzo del metallo giallo ha superato 2000 dollari l’oncia per la prima volta dallo scoppio della guerra in Ucraina e si è avvicinato al record di 2075 dollari l’oncia segnato ad agosto 2020.
A breve termine le quotazioni rimarranno vulnerabili alle variazioni della propensione al rischio e delle aspettative sui tassi d’interesse. Ma ci aspettiamo che il rally aurifero possa proseguire nei prossimi trimestri. Primo, è probabile che i beni rifugio registrino ulteriori afflussi a fronte delle incerte prospettive della crescita economica. Secondo, ci aspettiamo un ulteriore deprezzamento dell’USD. L’oro tende a salire nei periodi di debolezza del dollaro e i rischi di ribasso del biglietto verde sono aumentati con la crescente aspettativa di un taglio dei tassi scontata dal mercato monetario.
Gli investitori finanziari hanno fatto ritorno sul mercato aurifero. Marzo è stato il primo mese di raccolta netta positiva per gli exchange-traded fund (ETF) da quasi 12 mesi, anche se i portafogli rimangono relativamente sottoesposti a questo segmento. Anche la domanda da parte delle banche centrali appare solida.
Ci aspettiamo quindi un ulteriore rialzo delle quotazioni del metallo giallo nei prossimi trimestri. Il nostro attuale target è di 2100 dollari l’oncia a fine dicembre e 2200 dollari l’oncia a fine marzo 2024.
Conclusione: consigliamo di detenere posizioni nell’oro come copertura in un contesto di portafoglio e abbiamo un giudizio di preferito sul metallo prezioso nella nostra strategia globale. Restiamo ottimisti anche sul complesso delle materie prime e raccomandiamo di attuare un approccio d’investimento attivo.
I mercati emergenti dovrebbero sovraperformare con il picco dei tassi
I mercati azionari emergenti hanno sottoperformato rispetto agli Stati Uniti da inizio anno. L’MSCI EM ha guadagnato il 3,4%, contro il rialzo del 7% dell’S&P 500. Ma questa sottoperformance ci sembra destinata a invertirsi.
Storicamente le azioni emergenti risultano favorite quando i tassi sui Fed fund toccano il punto massimo, eventualità che secondo i mercati dovrebbe verificarsi a maggio. In base alla nostra analisi, nelle ultime cinque occasioni l’MSCI EM ha perso in media il 5% nei sei mesi precedenti il picco del tasso sui Fed fund, ma ha messo a segno una solida performance nel periodo successivo, con un rendimento medio dell’8% a 6 mesi e del 20% a 12 mesi.
I risultati passati non rappresentano una garanzia dei rendimenti futuri, ma possono dare indicazioni utili. Inoltre, l’indebolimento del dollaro dovrebbe favorire i mercati emergenti.
Anche la ripresa della Cina dovrebbe sostenere le economie emergenti.
Ci aspettiamo una crescita del PIL cinese di circa il 5,5% su base annua nell’esercizio 2023, grazie al recupero dei consumi e alla tenuta degli investimenti.
Gli utili robusti e le valutazioni convenienti dovrebbero a loro volta sospingere le azioni emergenti. In termini valutativi, il rapporto prezzo/utili (P/E) a 12 mesi dell’MSCI EM, che tratta a 11,6x, è inferiore alla media decennale e presenta uno sconto di circa il 35% rispetto all’S&P 500. A nostro avviso questo scarto valutativo non è giustificato dai fondamentali e dovrebbe ridursi nei prossimi mesi. Ci aspettiamo che il miglioramento delle prospettive di crescita delle economie emergenti dia gradualmente impulso agli utili aziendali.
Conclusione: la sottoperformance delle azioni emergenti rispetto a quelle statunitensi ci sembra destinata a invertirsi e manteniamo un giudizio di preferito sul comparto nella nostra strategia globale.
Attivi non tradizionali
Le classi di attivi non tradizionali sono investimenti alternativi che comprendono hedge fund, private equity, immobili e managed futures (collettivamente, investimenti alternativi).
Le quote dei fondi d’investimento alternativi sono vendute solo a investitori qualificati e soltanto mediante documenti di offerta che forniscono informazioni su rischi, performance e spese dei fondi d’investimento alternativi. I clienti sono invitati a leggere attentamente i documenti in oggetto prima di sottoscrivere le quote e di entrarne in possesso. Un investimento in un fondo d’investimento alternativo è di natura speculativa e comporta rischi significativi. In specifico questi investimenti (1) non sono fondi comuni d’investimento e non sono soggetti agli stessi requisiti normativi di tali fondi; (2) possono presentare una performance volatile e gli investitori possono perdere una parte sostanziale o tutto il capitale investito; (3) possono comportare leva finanziaria e altre prassi d’investimento speculative con un possibile aumento del rischio di perdita di investimento; (4) sono investimenti illiquidi a lungo termine, solitamente non esiste un mercato secondario per gli interessi di un fondo e non se ne prevede alcuno sviluppo; (5) gli interessi dei fondi d’investimento alternativi sono solitamente illiquidi e soggetti a limitazioni di trasferimento; (6) può non essere chiesto loro di fornire agli investitori informazioni periodiche sui prezzi o sulla valutazione; (7) solitamente comportano complesse strategie fiscali ed eventuali ritardi nella distribuzione agli investitori delle informazioni fiscali; (8) sono soggetti a elevate commissioni, tra cui commissioni di gestione e altre commissioni e spese che nel complesso riducono i profitti.
Le quote in fondi d’investimento alternativi non sono depositi né obbligazioni di banche o altri istituti di deposito garantiti, né sono garantite o avallate da questi, e non sono garantite a livello federale dalla Federal Deposit Insurance Corporation, dal Federal Reserve Board né da altri enti pubblici. I potenziali investitori devono capire questi rischi e avere la capacità finanziaria e la disponibilità ad accettarli per un lungo periodo prima di investire in un fondo d’investimento alternativo e devono considerare un fondo d’investimento alternativo come un’integrazione in un programma di investimento generale.
In aggiunta ai rischi che si riferiscono agli investimenti alternativi in generale, vi sono rischi aggiuntivi correlati a un investimento in queste strategie:
• Rischio degli hedge fund: l’investimento in hedge fund comporta dei rischi specifici tra cui possono figurare I rischi associati a investimenti in vendite allo scoperto, opzioni, azioni di small cap, junk bond, derivati, titoli in sofferenza, titoli azionari non statunitensi e investimenti illiquidi.
• Managed futures: l’investimento in programmi di managed futures comporta dei rischi specifici. Per esempio non tutti i gestori si focalizzano contemporaneamente su tutte le strategie e le strategie di managed future possono comportare elementi direzionali sostanziali.
• Immobili: l’investimento in prodotti immobiliari e real estate investment trust comporta dei rischi specifici. Tra questi figurano rischi associati a indebitamento, variazioni negative nelle condizioni economiche generali o nei mercati locali, variazioni nelle normative o nei regolamenti statali, fiscali, immobiliari e nei piani regolatori, rischi associati a richieste di capitale e, per alcuni prodotti immobiliari, rischi associati alla possibilità di beneficiare di trattamenti fiscali di favore ai sensi delle normative fiscali
federali.
• Private equity: l’investimento in private equity comporta dei rischi specifici. Se non soddisfatte, le eventuali richieste di capitali con preavviso breve possono avere significative ripercussioni negative inclusa, a titolo esemplificativo e non limitativo, la perdita totale dell’investimento.
• Rischio di cambio/di valuta: chi investe in titoli di emittenti ubicati al di fuori degli Stati Uniti deve sapere che anche nel caso di titoli denominati in dollari statunitensi, le variazioni nel tasso di cambio tra il dollaro statunitense e la valuta “nazionale” dell’emittente possono avere effetti imprevisti sul valore di mercato e sulla liquidità di tali titoli. I titoli in oggetto possono inoltre essere interessati da altri rischi (cambiamenti della situazione politica, economica o del quadro normativo) di cui gli investitori statunitensi potrebbero venire a conoscenza in ritardo.
Gli interrogativi della settimana
I dati sull’inflazione americana indicheranno un raffreddamento dell’economia?
Dopo i dati PMI inferiori alle attese pubblicati la scorsa settimana, l’attenzione si sposterà sull’indice statunitense dei prezzi al consumo di marzo. La previsione di consenso è di un calo dell’inflazione «core» allo 0,4% su base mensile, dallo 0,5% di febbraio.
Il verbale della riunione del FOMC rafforzerà le attese di un picco dei tassi?
In questo momento i mercati si aspettano che i tassi sui Fed fund tocchino il punto massimo a maggio. Gli investitori sperano che il verbale della riunione del FOMC di marzo, in uscita mercoledì, dia ulteriori indicazioni sulla possibile traiettoria della politica monetaria.
Il rally dell’oro proseguirà?
La scorsa settimana il prezzo del metallo giallo ha superato 2000 dollari l’oncia e da inizio anno è salito di circa il 10% a causa dei timori per la crescita economica. Ci aspettiamo ulteriori rialzi verso il nostro target di 2100 dollari l’oncia a dicembre.
Report di Mark Haefele, Global Wealth Management Chief Investment Officer, UBS AG
Appendice
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